Professionalità dell’ingegnere forense

Sulla rivista L’ingegnere italiano (n. 1 del 2020) è apparso un articolo dal titolo: “Un cambiamento necessario” in cui si affronta il problema della qualità della consulenza tecnica nel processo civile. Oggigiorno assistiamo ad un numero sempre maggiore di professionisti che si cimentano nell’arte del tecnico forense (CTU o CTP che siano). Purtroppo tutto ciò è accompagnato da un decadimento della qualità di tali figure professionali dovuto sia alla scarsa conoscenza delle norme che regolano i procedimenti civili, che alla frequentazione solo di un mini corso di 12 o 20 ore organizzato da un Ordine Professionale e/o un collegio come unica base di partenza, base che non può certo sopperire la scarsa esperienza necessaria invece in tale settore non strettamente tecnico. Quella del tecnico forense è una professione intellettuale e come tale è legata a diversi aspetti formativi, etici e deontologici. Per intraprendere una qualsiasi attività intellettuale è necessario un certo periodo di apprendistato e/o tirocinio ma stranamente per quella di tecnico forense sembra che sia sufficiente la sola  frequenza di un corso per la parte giurisprudenziale e il titolo di studio per la parte tecnica ma è proprio così?

Io non lo credo e la dimostrazione è che ci sono tanti tecnici che seppure titolati sulla carta non sono in grado di gestire il contenzioso e/o ragionano solo in termini “tecnici” trascurando gli aspetti giuridici ma soprattutto dimenticando che le loro argomentazioni costituiranno una delle basi su cui si fonderà il giudizio del Giudice e/o del cliente che si rivolgerà a loro per affidare un lavoro. Tutto ciò comporta forti risvolti nelle parti coinvolte che si affidano al tecnico allo stesso modo in cui un malato si affida al proprio medico di fiducia.

Il CTU, ad esempio, non è solo un tecnico che svolge il proprio incarico ma è un tecnico che svolge un ufficio quello appunto di consulente del giudice ossia ha un compito di pubblica utilità e non meramente tecnico. Il CTU è un tecnico fiduciario del Giudice. Forse se al termine di ogni consulenza il Giudice attribuisse un punteggio al CTU sul lavoro svolto, un po’ come avviene nelle recensioni sui ristoranti, si potrebbe avere una classifica che aiuterebbe altri Giudici a conferire gli incarichi non solo sulla base della turnazione ma anche su quella del merito. Nel privato la questione è più complessa perchè vige la regola del libero mercato e riuscire ad avere un tecnico, CTP, stellato è più ostico in quanto ci si muove più su conoscenza diretta o per sentito dire che per altro.

Ritornando all’articolo citato in apertura, la qualità non dipende solo da un codice di etica deontologico e/o professionale, codice che per gli iscritti agli albi e/o collegi professionali esiste già, ma soprattutto dalla maturità dell’individuo acquisita anche attraverso un percorso di formazione professionale sul campo che si può ottenere solo dopo un periodo di tirocinio fatto con un serio ed esperto professionista del settore.

Ugo Lops

La responsabilita penale dei professionisti tecnici

Si riporta un interessante articolo scritto da: Emanuele Ruggerone sul sito:  Magazine Dario Flaccovio.


Ogni professionista tecnico è tenuto all’osservanza di normative e codici comportamentali ben definiti, la violazione dei quali può dare origine ad un illecito. Vediamo le distinzioni previste dalla legge e le conseguenze previste per ogni violazione commessa.

L’illecito può essere di tre tipologie:

  • Illecito penale
  • Illecito civile
  • Illecito amministrativo

Nel seguito si affrontano i principali aspetti relativi all’illecito di tipo penale, nell’ottica di fornire un quadro generale sull’argomento.


Definizione di illecito penale

L’illecito penale consiste nella violazione di regole della massima importanza, ovvero regole che sono ritenute fondamentali per la convivenza civile all’interno di una società.
La responsabilità penale è conseguente alla commissione riconosciuta di un reato.

Gli elementi costitutivi del reato

Ciascun reato si dice costituito da una componente oggettiva e da una soggettiva.
La componente oggettiva configura i requisiti del reato, detti requisiti positivi i primi tre, negativo il quarto:

  1. Condotta
  2. Evento
  3. Nesso di casualità
  4. Assenza di cause di giustificazione

In linea di massima, un reato penale è riconosciuto come tale in presenza di tutte e quattro le componenti anzidette.

La condotta: azione e omissione

È condotta rilevante, dal punto di vista della responsabilità penale, quella che attiene tanto ad un’azione, ovvero l’insieme di uno o più atti che comportano la configurazione di un reato, quanto l’omissione, ovvero l’insieme di uno o più mancati atti che avrebbero comportato la mancata configurazione di un reato.
Una precisazione per quanto riguarda l’omissione: un comportamento può qualificarsi come omissione solo se sussiste un obbligo normativo che avrebbe imposto ad un soggetto l’adozione di una determinata azione che, appunto, non è stata compiuta.
Di particolare rilevanza, in tema di omissione, è la cosiddetta posizione di garanzia, costituita da obblighi del tutto particolari, inerenti la specifica conoscenza di un problema o di una fonte di danno o pericolo e la mancata adozione delle necessarie misure per impedire il verificarsi di un evento dannoso o pericoloso. Posizione di garanzia è quella rivestita, ad esempio, da un direttore dei lavori (Cass. 26.04.2007, n.° 23129).

L’evento

L’evento è da considerarsi come il risultato della condotta, ovvero l’insieme dei fatti che sono scaturiti dall’adozione di una determinata condotta da parte di un determinato soggetto.

Il nesso di causalità

Si cita in merito a questo aspetto l’articolo 40 comma I del Codice Penale: “nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato se l’evento dannoso o pericoloso, da cui l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione”.
In sede quindi di accertamento della responsabilità penale, il problema consiste nel valutare se lo specifico evento sarebbe comunque accaduto oppure se è accaduto in conseguenza dell’adozione di una determinata condotta.
Ovvia la difficoltà di una simile operazione, sottolineata anche dalla Cassazione (Cass. 28.11.2002), secondo la quale “il rapporto di casualità si costruisce non in termini di una scientificamente irraggiungibile certezza, ma in termini di quasi certezza, non in termini di coefficienti percentualistici pari a cento, ma in termini di elevati coefficienti percentualistici, di coefficienti percentualistici vicino a cento, poco meno di cento”.

Assenza di cause di giustificazione

La presenza di cause di giustificazione può, talora, comportare il fatto che un reato non sia più riconosciuto come tale.
Causa di giustificazione può essere quella per cui un reato viene commesso per salvare un interesse superiore. Esempi tipici possono essere la legittima difesa o la violenza commessa in stato di necessità.
Va ricordato che non sono cause di giustificazione, ad esempio, il consenso del lavoratore subordinato alla violazione di obblighi relativi all’incolumità personale (Cass. 26.01.1977, n.° 4743) oppure l’assenso di un Committente alla realizzazione di opere abusive (Cass. 08.10.2002).

Componente soggettiva del reato

La componente soggettiva del reato concerne l’inquadramento complessivo del soggetto che lo ha commesso. “Il principio di soggettività del reato sta ad indicare che, per aversi reato, non basta che il soggetto abbia posto in essere un fatto materiale offensivo, ma occorre che questo gli appartenga psicologicamente” (Mantovani, “Diritto Penale”, Padova, 2007).
L’appartenenza psicologica di cui sopra può non sussistere, ad esempio, in casi di infermità mentale totale o parziale, tossicodipendenza, incapacità di intendere e volere.

Negligenza, imprudenza e imperizia

Per negligenza si intende una insufficiente attenzione posta nell’effettuare una determinata azione, il che può comportare, di fatto, una vera e propria omissione.
L’imprudenza si verifica invece nei casi in cui, nel commettere una determinata azione, si agisca senza una specifica considerazione di tutte le conseguenze.
Imperizia è invece l’insufficienza di preparazione professionale o di esperienza che può dare luogo ad azioni che comportano eventi pericolosi o dannosi.

Responsabilità penale colposa e dolosa

La valutazione della natura colposa o dolosa di una responsabilità penale è tema complesso e che non può avere una generalizzazione semplice.
Secondo l’articolo 43 del Codice Penale, il reato si dice doloso “quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione”.
Per contro, il reato si dice colposo “quando l’evento anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza, imprudenza o imperizia ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”.
Differenza fondamentale fra i due casi risiede nella volontà, da parte del soggetto, di commettere il reato, pertanto si potrebbe supporre che tutti i casi di errori di progettazione siano, ad esempio, ascrivibili al settore della responsabilità colposa.
Si citano nel seguito alcuni esempi, finalizzati a meglio chiarire la tematica.
Secondo la Cassazione (Cass. 06.06.1977, n° 14666), “la responsabilità penale colposa deve ravvisarsi non solo quando il danno derivi da un fatto omissivo, ma anche quando consegua ad un’omissione e, in particolare, dalla mancata previsione di un fatto che, con apprezzabile grado di probabilità possa determinare un pericolo o danno” (in merito al caso di un progettista che, nella progettazione di un tratto di strada poi crollato, aveva proceduto senza un adeguato studio geologico, dal quale si sarebbe potuto prevedere l’evento verificatosi).

Riflessioni sul ruolo del consulente tecnico nei contenziosi (Ingegneria forense)

Quando nel 1995 decisi di intraprendere la professione di ingegnere nel settore contenzioso giudiziario iscrivendomi presso il Tribunale di Foggia e dal 2000 presso il Tribunale di Bologna, molti colleghi giudicarono la mia scelta temeraria. Infatti essere un buon tecnico da contenzioso giudiziario significa necessariamente sapersi esprimere in modo chiaro, anche per chi tecnico non è (giudici, avvocati, parti, ecc.). Inoltre bisogna conoscere e rispettare le varie leggi dei codici e le norme che regolano la materia e al tempo stesso riuscire, a seconda del ruolo che di volta in volta si ricopre (ausiliario del giudice, consulente di parte, arbitro, mediatore, perito stimatore, ecc.), a svolgere il compito assegnato  al meglio per il proprio committente, ma senza mai dimenticare di conservare la propria onestà intellettuale.

Spesso (e questo non è scritto in nessun libro nè raccontato in nessun corso per consulenti)  bisogna mantenere la calma quando tutti attorno la perdono, o perchè troppo coinvolti o solo perchè sbraitando pensano di far prevalere la propria ragione o semplicemente per dimostrare ai propri assistiti che stanno svolgendo un buon lavoro, senza per questo evidenziare le propri tesi.

Molti pensano, a torto, che competenze tecniche e conoscenze giuridiche  siano gli unici ingredienti necessari per formare quello che oggi viene chiamato “tecnico forense” o una volta semplicemente tecnico giudiziario. La verità è che a questi bisogna aggiungere la pratica professionale e una buona predisposizione personale al dialogo e alla mediazione nelle liti, altrimenti si è destinati a risultati deludenti.

Il rapporto con le parti, con i giudici, gli avvocati ecc. deve sempre tendere ad un rapporto professionale scevro da astiosità e pregiudizi e dev’essere basato esclusivamente sulla professionalità del tecnico. Concetto facile a dirsi ma spesso difficilissimo da mettere in pratica anche per i consulenti più esperti. I colpi bassi, metaforicamente parlando, sono sempre più frequenti e per perdere la calma durante la discussione spesso animata ci vuole un attimo. Quando si perde la calma la situazione può sfuggire di mano e la bravura del professionista sta nel dominare e controllare la situazione, guadagnandosi  credibilità e stima nel contesto in cui opera e sulla tesi che sta cercando di sostenere senza mai perdere di vista quelle dei contendenti.

Nel corso degli anni ho ricevuto da giudici, avvocati, parti e colleghi numerosissime manifestazioni di stima per il lavoro svolto; per contro ho ricevuto, sia pure in casi rari,  anche alcune critiche feroci da chi mi era avverso nel procedimento. Anche questo rientra nel gioco delle parti.

Concludo la mia riflessione affermando che si tratta di una professione che consente di prendere in esame argomenti di varia natura tecnica molto diversi tra loro e molto spesso  assai complessi, e che è importante che il tecnico perito giudiziario sia sicuro di ciò che fa tecnicamente ma anche di agire in nome della giustizia e di lavorare sempre secondo scienza e coscienza nell’interesse delle parti, senza avere preconcetti.

E’ presente nel blog anche l’articolo: L’Ingegneria Forense

Il Consiglio di Stato ritorna sulla natura degli incarichi di CTU conferiti ai pubblici dipendenti.

2017 il Consiglio di Stato ritorna sulla vicenda degli incarichi di CTU conferiti a pubblici dipendenti affermando che un dipendente pubblico può accettare incarichi anche senza autorizzazione della propria amministrazione (Consiglio di Stato 3513/2017). A tal riguardo si riporta quanto scrive Legislazione Tecnica sul proprio sito e ad altro articolo pubblicato sul presente sito:

Accelerazione della procedura di espropriazione forzata: D.L. 59/2016

logoIntrodotte nuove modifiche al processo esecutivo nell’ottica di snellire la procedura e facilitare il realizzo. Opposizione alla esecuzione del pignoramento; disposizioni per facilitare le visite agli immobili; ordine di liberazione dell’immobile già in fase preliminare alla vendita forzata; vendita con modalità telematiche; richiesta di assegnazione per terzo da nominare; riduzione del prezzo fino alla metà dopo il terzo tentativo di vendita andato deserto; distribuzioni parziali; relazioni semestrali del professionista delegato.

Il D.L. 03/05/2016, n. 59, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 03/05/2016, n. 102, e recante “Disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concorsuali, nonché a favore degli investitori in banche in liquidazione” (attualmente in fase di conversione in legge) introduce misure acceleratorie della procedura di espropriazione forzata, principalmente attraverso modifiche al Codice di procedura civile.

Si precisa che il D.L. 59/2016 è in fase di conversione in legge, e che dunque le disposizioni da esso introdotte non possono considerarsi definitive, si riporta di seguito una sintesi delle principali novità introdotte, rinviando per approfondimenti al testo degli articoli modificati del Codice di procedura civile. Il presente articolo è stato estratto dal sito: www.legislazionetecnica.it.

Opposizione alla esecuzione del pignoramento:
Il D.L. integra l’art. 648 del Cpc, stabilendo che l’opposizione all’esecuzione è inammissibile se è proposta dopo che è stata disposta la vendita o l’assegnazione del bene pignorato (a norma degli artt. 530, 552 e 569). Il pignoramento dovrà pertanto contenere avvertimento in tal senso.

L’opposizione può essere invece proposta oltre il termine nel caso in cui sia fondata su fatti sopravvenuti ovvero se l’opponente dimostri di non aver potuto proporla tempestivamente per causa a lui non imputabile.

La disposizione si applica ai procedimenti di esecuzione forzata per espropriazione iniziati successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. in commento.

Disposizioni per facilitare le visite agli immobili – Ordine di liberazione dell’immobile già in fase preliminare alla vendita forzata
Il giudice può disporre la liberazione dell’immobile con provvedimento non impugnabile. Nel confermare la competenza del custode, anche dopo la pronuncia del decreto di trasferimento, in ordine all’attuazione del provvedimento di liberazione, si precisa che il custode stesso debba agire secondo le disposizioni del giudice ma senza essere tenuto all’osservanza delle formalità di cui agli artt. 605 e seguenti del Cpc.

Per l’attuazione dell’ordine il giudice può avvalersi della forza pubblica e nominare ausiliari.

La disposizione si applica agli ordini di liberazione disposti, nei procedimenti di esecuzione forzata per espropriazione iniziati successivamente al decorso del termine di 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. in commento.

Ancora, il D.L. riconosce agli interessati a presentare l’offerta d’acquisto il diritto di esaminare i beni in vendita entro 7 giorni dalla richiesta, effettuata tramite il portale delle vendite pubbliche.

La disamina dei beni inoltre, deve essere svolta con modalità idonee a garantire la riservatezza dell’identità degli interessati e ad impedire che essi abbiano contatti tra loro.

Vendita con modalità telematiche:
Si dispone che le vendite dei beni immobili pignorati abbiano luogo obbligatoriamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa regolamentare (D.M. 32/2015) adottato in attuazione dell’art. 161-ter delle disposizioni per l’attuazione del Cpc. Attraverso tale modifica si estende in pratica anche al settore delle vendite immobiliari la regola introdotta nell’art. 530 del Cpc dal D.L. 90/2014 (L. 114/2014) per la quale la vendita dei beni mobili pignorati deve avere luogo con modalità telematiche.

Come si rileva nella relazione a norma del predetto decreto ministeriale, il giudice dell’esecuzione può anche disporre che la vendita abbia luogo con modalità mista e cioè contestualmente con modalità sia telematiche che tradizionali. La disposizione si applica alle vendite forzate di beni immobili disposte dopo il 60 giorno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in commento.

Richiesta di assegnazione per terzo da nominare:
Si prevede la possibilità che il creditore richieda di assegnare il bene pignorato a favore di un terzo da nominare. Occorre in tal caso dichiarare in cancelleria, nei 5 giorni dalla pronuncia in udienza del provvedimento di assegnazione ovvero dalla comunicazione, il nome del soggetto a favore del quale deve essere trasferito l’immobile, depositando la dichiarazione dello stesso. In mancanza, il trasferimento si considera fatto a favore del creditore.

Riduzione del prezzo fino alla metà dopo il terzo tentativo di vendita andato deserto:
Viene modificato l’art. 591 Cpc, il quale prevede che ove non si sia concretizzata la vendita al miglior offerente, il giudice può autorizzare l’incanto solo in assenza di istanze di assegnazione e se ritiene di poter ricavare con tale modalità un prezzo superiore di almeno la metà del valore del bene determinato dal perito.

Nella versione previgente il giudice poteva decidere di ribassare il prezzo di vendita solo fino a un quarto, mentre, in seguito all’intervento del decreto-legge in esame, il giudice, dopo il terzo tentativo di vendita andato deserto, può decidere di ribassare il prezzo fino al limite della metà.

Distribuzioni parziali:
Superando le divergenze esistenti nella prassi applicativa, il provvedimento chiarisce che i giudici dell’esecuzione e i professionisti delegati possono effettuare distribuzioni anche parziali delle somme ricavate dall’esecuzione immobiliare.

Relazioni semestrali del professionista delegato da depositare in via telematica:
Il D.L. prevede che il professionista delegato alle operazioni di vendita sia tenuto a depositare, oltre che il rapporto riepilogativo iniziale delle attività svolte entro 10 giorni dalla pronuncia dell’ordinanza di vendita, anche rapporti periodici con cadenza semestrale, da depositare in via telematica.

PCT – Consigli su come eseguire depositi telematici eccedenti i 30 Mb

10176026_625899730829073_7944492328707164499_nChiedendo chiarimenti  all’Assistenza Cancelleria Telematica della Regione Toscana e mi subito è stata data questa interessante risposta valida ogni qualvolta il deposito telematico degli atti eccedono i 30 Mb (limite di capienza delle PEC italiane) e che sono lieto di condividere:

“Specifichiamo, nella descrizione del deposito può mettere “parte 1” e “parte 2″ così come dentro la busta in un campo descrittivo, però dipende dal tipo di atto.
Si rammenta, altresì, che, ai sensi dell’art. 16 bis comma 7 d.l. n. 179/12, come modificato dall’art. 51,comma 2, d.l. n.90/2014, laddove il messaggio di PEC inviato dalla parte al fine di operare il deposito superi la dimensione massima stabilita dalle specifiche tecniche del responsabile per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della Giustizia, il deposito degli atti o dei documenti può essere tempestivamente eseguito mediante l’invio di più messaggi di posta elettronica certificata, compiuti entro la fine del giorno di scadenza.
Ne consegue che le cancellerie potranno trovarsi nella condizione di dover accettare più buste, relative a quello che, sotto il profilo giuridico, costituisce un unico deposito di atti o documenti.”.

Link per scaricare redattori atti gratuiti (dal PST del ministero)

Scarica redattore atti gratuito SLPCT (per accedere occorre la firma digitale)

Pagina facebook del redattore gratuito SLPCT

Filmati istruttivi sul PCT

Informazioni base sul PCT (dal Consiglio Nazionale Forense)

Novità in tema di Processo Civile Telematico – PCT

Giustizia CivileIl processo telematico è diventato oramai una realtà concreta dell’avvocatura italiana e non solo. La necessità di restare sempre aggiornati in merito ai propri procedimenti, e il bisogno per tutti coloro che operano od hanno a che fare con il settore Giustizia a partire da: avvocati, CTU, CTP ed anche le parti stesse è sempre più pressante. 

Il Ministero sensibile davanti a tali necessità introduce importanti novità nel campo del Processo Civile Telematico, in vista dell’appuntamento di Giugno 2014; infatti, oltre a consentire l’accesso tramite PC al proprio portale: pst.giustizia.it (per utenti già registrati al REGINDE), il Ministero della Giustizia ha messo a disposizione un applicativo:Giustizia civile“, scaricabile gratuitamente mediante Google Play o Apple Store, che consente da Tablet, smartphone, iPhone/iPad, ecc. la consultazione pubblica, in forma anonima, dei registri civili del Ministero della Giustizia per gli uffici di:

  • Corte d’Appello
  • Tribunale Ordinario, Sezione distaccata
  • Giudice di Pace.

I registri consultabili:

  • Contenzioso Civile
  • Lavoro
  • Volontaria Giurisdizione
  • Procedure concorsuali
  • Esecuzioni Mobiliari ed Esecuzioni Immobiliari.

I CTU e l’iscrizione al ReGIndE

Tribunale BolognaLa Giustizia Civile sta ormai percorrendo a grandi passi la strada che porta ad una nuova era, quella digitale. Per Giudici e Legali di molte circoscrizioni, il Processo Civile Telematico (PCT) è già una realtà. E per tutti è sin d’ora possibile la consultazione pubblica delle cause da computer remoto, e persino da dipositivi mobili (smartphone e tablet), tramite apposite applicazioni. I Legali sono già molto avanti in questo processo, ma anche i Consulenti Tecnici d’Ufficio (CTU) sono chiamati ad affacciarsi a questa realtà. Anzi, sono già molti i Tribunali che oggi richiedono ai CTU la padronanza completa del PCT. In un futuro molto prossimo il CTU riceverà le comunicazioni di cancelleria, solo via Posta Elettronica Certificata (PEC). Per avvicinarsi a questa realtà ci sono alcuni passaggi fondamentali. Il primo, e più impellente, è l’iscrizione al ReGIndE e cioè al Registro Generale degli Indirizzi Elettronici del Ministero della Giustizia presente sul Portale dei Servizi Telematici – PST. L’iscrizione al Registro può essere fatta dal proprio Ordine o Collegio professionale di appartenenza oppure da soli seguendo la procedura descritta nel link sotto riportato che riporta all’informativa divulgata dal Tribunale di Bologna su tale procedura.   

Obbligatorietà delle notifiche telematiche agli ausiliari del Giudice

Informativa del Tribunale di Bologna

Collegamento al PST del Ministero di Grazia e Giustizia

La nuova mediazione obbligatoria

logoLa nuova mediazione obbligatoria, sulla quale, il Ministero della Giustizia, contava per ridurre il contenzioso di oltre un milione di cause nel giro di pochi anni si è invece ad oggi rivelata un insuccesso. La dimostrazione è nei risultati afferma in un’intervista Maurizio De Tilla Presidente dell’ANAI (Associazione Nazionale Avvocati Italiani) dove afferma che poco più di 1.500 domande sono state presentate fino ad oggi in tutta Italia con punte prossime allo zero in alcune regioni.

Si rimanda al testo dell’articolo pubblicato sul quotidiano Italia Oggi in data 22/11/2013 (Link All’articolo)

L’ingegneria forense

bilanciaL’ingegnere forense in senso stretto opera come Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU) o di Parte (CTP) nell’ambito dei procedimenti giudiziari civili e penali per valutare i motivi per cui ha avuto origine e si è verificata una prestazione diversa da quella attesa.
In senso lato l’ingegnere forense oltre ad operare come Consulente del Giudice o della parte nei procedimenti giudiziari, opera anche come consulente in ambito extragiudiziario nelle procedure volte a prevenire il contenzioso giudiziario (arbitrati, mediazioni, perizie stragiudiziali, ecc.). (Rivista dell’Ordine degli Ingneri di Milano n.52)
L’ingegneria forense è la disciplina che utilizza i principi scientifici e i relativi metodi di analisi per la risoluzione di problematiche in ambito legale. L’ingegnere forense deve pertanto avere competenze trasversali, sia in ambito tecnico che in ambito legale, poiché le sue affermazioni, oltre a sostanziare scientificamente e tecnicamente i problemi, avranno anche grande valenza in ambito giuridico.
I campi di intervento dell’ingegneria forense sono molteplici, si va dalle problematiche legate a controversie tecniche in  appalti edili pubblici e privati, all’esecuzione di opere eseguite non a regola d’arte, agli infortuni industriali ai fenomeni di cedimento in esercizio di componenti o parti di macchina, dai disastri negli impianti di processo alle esplosioni o agli incendi, dai crolli di edifici ai problemi di igiene industriale e ambientale, ecc.
In termini del tutto generali l’ingegnere forense si occupa di analizzare i materiali, i prodotti, le strutture e i componenti che hanno subito una failure, ossia un fallimento che da un lato non ha permesso di garantire le prestazioni desiderate e dall’altro ha provocato danni più o meno gravi a cose o persone.
L’ingegneria forense è perciò scienza e tecnica al tempo stesso, nel senso che interpreta criticamente i risultati di un esperimento al fine di spiegare i fenomeni coinvolti: l’ingegnere forense mutua dallo scienziato il metodo di indagine di galileiana memoria, sostituendo ai risultati di un esperimento le evidenze raccolte dall’investigazione, per comprendere come si è svolto e quali siano state le cause di un determinato fenomeno.
Il tema affrontato dall’ingegneria forense, anche chiamata failure analysis, è molto ampio; la competenza tecnica in un determinato ambito non è la cosa più rilevante, quanto piuttosto è la conoscenza approfondita degli aspetti forensi di un problema tecnico ad essere l’elemento fondamentale.
Facciamo un esempio: se la vostra auto va in panne mentre guidate per recarvi al lavoro, sarete più propensi a chiamare il progettista dell’auto o il meccanico dell’autofficina? Ecco, l’ingegnere forense è, mutatis mutandis, qualcosa di analogo al meccanico dell’autofficina: lui forse non conosce nei minimi dettagli come l’auto è progettata, ma sicuramente vi saprà dire come e perché si è rotta e vi saprà aiutare a farla ripartire e ad evitare che il problema si ripresenti in futuro.
Anche l’ingegnere forense opera in modo analogo: magari non conosce tutti i segreti della progettazione dei treni, forse non è al corrente delle più recenti tecnologie di preparazione delle malte cementizie, probabilmente non è ben addentro alle strumentazioni d’avanguardia nel settore aereo o navale ma, statene certi, sarà in grado di aiutarvi nella ricostruzione di un sinistro, sia esso un semplice incidente automobilistico o un complesso deragliamento di un treno, finanche ad un disastro aereo o navale. Inoltre sarà lui a districarsi nella complessa attività di definizione delle normative di sicurezza trascurate e ad identificare le cause e i responsabili del sinistro. Per non parlare poi del corretto approccio giudiziario della vicenda (conoscenza della normativa giuridica, rapporto con giudici, avvocati, controparti, ecc.) che di sicuro non è un aspetto marginale e che spesso fa la differenza.

Vedi anche: Riflessioni sul ruolo del consulente tecnico nei contenziosi (Ingegneria Forense)

Manutenzione scale – paga anche l’inquilino del piano terra

Si ripropone un interessante articolo apparso sul sito di: www.legislazionetecnica.it.

Le spese che hanno ad oggetto la statica di un edificio come quelle attinenti alle scale vanno distribuite tra tutti i condomini, compresi quelli del pian terreno. Il condomino che vive in un appartamento al piano terra è tenuto al pagamento delle spese per il rifacimento delle scale, che costituiscono bene strutturale e necessario dell’edificio. Lo ha deciso la Corte di Cassazione, con l’Ordinanza 21886 del 5 dicembre 2012.

Secondo la Corte «le scale, essendo elementi strutturali necessari alla edificazione di uno stabile condominiale e mezzo indispensabile per accedere al tetto e al terrazzo di copertura, conservano la qualità di parti comuni, così come indicalo nell’art. 1117 Cod. civ., anche relativamente ai condomini proprietari di negozi con accesso dalla strada, in assenza di titolo contrario, poiché anche tali condomini ne fruiscono quanto meno in ordine alla conservazione e manutenzione della copertura dell’edificio».

I lavori relativi alle scale rappresentano, dunque, «opere di consolidamento riguardanti la statica del fabbricato» e non «opere di mero rifacimento»; conseguentemente è assolutamente legittimo che vengano poste a carico di tutti i condomini.

Nella fattispecie un condomino che viveva in un appartamento al piano terra rivendicava, proprio alla luce della collocazione della sua abitazione, il diritto ad essere esonerato dalla spesa per il rifacimento delle scale, dal momento che non ne faceva uso.

La mediazione civile non sarà più obbligatoria?

Ha fatto un gran polverone la notizia che la Corte Costituzionale, con un Comunicato stampa diffuso lo scorso 24 ottobre, ha anticipato il verdetto di incostituzionalità per eccesso di delega del tentativo obbligatorio di mediazione nelle materie indicate all’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 28 del 2010. La mediazione finalizzata alla risoluzione amichevole delle controversie civili era obbligatoria, dal 21 marzo 2011 per le seguenti materie:

  • diritti reali (distanze nelle costruzioni, usufrutto e servitù di passaggio ecc.)
  • divisione, successioni ereditarie e patti di famiglia
  • locazione, comodato e affitto di aziende
  • risarcimento danni da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità
  • contratti assicurativi, bancari e finanziari

e dal 20 marzo 2012 anche per le controversie in materia:

  • di condominio
  • di risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti.

Purtroppo, dal giorno immediatamente successivo alla pubblicazione del verdetto della Consulta sulla Gazzetta Ufficiale, per le suddette controversie non dovrà più essere esperito il tentativo obbligatorio di mediazione, a pena di improcedibilità della domanda giudiziale. Imprese, tecnici e privati cittadini avranno due alternative ugualmente valide:

  • adire direttamente l’Autorità giudiziaria
  • rivolgersi agli organismi di mediazione (mediazione volontaria)

Ecco la Circolare 12 novembre 2012 sulla questione emanata dal Dipartimento per gli Affari di Giustizia – Direzione generale della giustizia civile.

E’ comunque notizia di questi giorni che la battaglia sull’obbligatorietà della mediazione civile non è ancora conclusa. In ballo ci sono troppi interessi sia per lo Stato che conta di risparmiare con la mediazione un bel po’ di denaro ma anche per i cittadini che possono attingere ad una giustizia più veloce, meno costosa e forse più equa. A tal proposito si rimanda in proposito ad un articolo de “Il Sole 24 ore” del 16/11/2012 tratto da una rassegna pubblicata sul sito di “Legislazione Tecnica”: Link all’articolo. Vedremo nel prossimo futuro cosa deciderà la nostra classe politica su un tema caro in tutti noi che crediamo nel valore aggiunto della mediazione rispetto alle soluzioni tradizionali dei conflitti.

Software pirata, i professionisti possono utilizzarli

Si riporta un interesante articolo del 6/03/2012 (di Paola Mammarella) pubblicato sul sito di Edilportale:

Tribunale Bologna – non è reato usare programmi senza licenza nelle prestazioni intellettuali non di impresa.
I professionisti iscritti all’Albo, che prestano un’opera intellettuale non equiparabile all’attività di impresa, possono utilizzare software pirata. La pensa così il Tribunale di Bologna, che con una recente sentenza ha convalidato precedenti orientamenti della Cassazione.
Come si apprende da fonti di stampa, il Tribunale di Bologna ha assolto dall’accusa di violazione del diritto d’autore un architetto in possesso di programmi duplicati di cui non possedeva la licenza. La decisione è stata motivata dal fatto che il libero professionista esercita attività intellettuale, diversa da quella industriale, e che, a detta dei giudici, la legge punisce chi usa programmi masterizzati nell’esercizio dell’attività di impresa.
Al contrario, il Tribunale avrebbe affermato che la duplicazione dei software funzionale alla prestazione dell’opera intellettuale non è rilevante ai fini penali. Le stesse considerazioni dovrebbero quindi essere valide anche per gli studi associati, dove ogni professionista resta un lavoratore autonomo.
L’architetto, trovato in possesso di nove programmi installati abusivamente, di valore superiore a 17 mila euro, era stato inizialmente condannato al pagamento di una multa. Alla luce delle considerazioni del Tribunale, il professionista è stato in seguito assolto perché il fatto non sussiste.

Le pronunce precedenti:
La posizione del Tribunale di Bologna si colloca sullo stesso filone di pronunce depositate in precedenza dalla Corte di Cassazione e dalla Corte d’Appello di Trento su casi analoghi.
Nel 2009 la Cassazione ha stabilito che la punizione è giustificata dallo scopo commerciale o imprenditoriale dell’attività. La Corte ha spiegato che non si deve fare confusione tra attività professionale ed imprenditoriale, a meno che non si dimostri che il professionista svolga la sua opera con una organizzazione tale da essere assimilato all’impresa. La differenza per la Cassazione sta nel fatto che l’attività di impresa è esplicitamente a scopo di lucro, mentre quella professionale non prevede un fine industriale. Sulla stessa lunghezza d’onda si è collocata la Corte d’Appello di Trento, che nel 2010 ha assolto due architetti che usavano programmi senza licenza nei loro uffici perché si trattava di liberi professionisti e non di imprenditori.

Pubblici dipendenti e incarichi di CTU, ruoli incompatibili?

presente sul sito del ministreto dell Giustizia)Una domanda posta all’Ordine degli Ingegneri di Bologna, con la relativa risposta, riguardante il già dibattuto ruolo di CTU per il dipendente di una pubblica amministrazione:

Gent.li colleghi ing.ri Monaco e Gasparini,
prima di tutto Vi faccio i miei complimenti per l’attenzione dimostrata sui temi della deontologia e dell’etica professionale, impegno dimostrato anche attraverso la sezione del sito dedicata al dialogo con gli iscritti (mi riferisco in particolare alla sezione quesiti e risposte). E’ proprio dopo aver letto un quesito con risposta in tale sezione (datato 2/9/2010 su: “Ruolo di CTU e dipendente  nella pubblica amministrazione“) che ho pensato scrivere la presente lettera.
1 premessa) Le leggi in merito alla incompatibilità  dell’attività di dipendente pubblico con quella autonoma del dipendente stesso non valgono per l’attività di CTU infatti, la direzione Generale degli Affari Civili e delle Libere Professioni del Ministero di Grazia e Giustizia infatti, ha risposto con la “Circolare del CSM del 4 gennaio 1999
” nella quale si legge: 
(Link diretto al sito del Ministero di Grazia e Giustizia)

“…….. ove tale divieto fosse ritenuto applicabile anche in tema di nomina di periti e consulenti, non solo si svuoterebbe di contenuto la concreta possibilità di scelta fiduciaria da parte del Giudice, prevista dai vigenti codici di rito, ma si impedirebbe al Giudice, dominus del processo, di avvalersi di quelle nozioni tecniche ritenute indispensabili, individuate soltanto in quel determinato soggetto che intende nominare consulente o perito
Nella stessa circolare si legge inoltre che l’indipendenza della Magistratura garantita dall’art.104 della Costituzione anche nell’ambito del delicato momento di scelta del perito, non può essere scalfita da norme che condizionano ad un atto vincolante di una autorità amministrativa l’attività giudiziaria intralciandola. Ne consegue quindi che tali norme non si applicano nel caso specifico degli incarichi di consulenza tecnica o peritale conferiti dall’Autorità Giudiziaria.
La giurisprudenza anche di Cassazione ha successivamente consolidato quanto scritto nella circolare anzi detta stabilendo che l’iscrizione dei consulenti tecnici negli appositi albi in Tribunale, in ragione della loro competenza specifica, è diretta a facilitare la scelta del giudice, ma non comporta un limite al potere di scelta del giudice medesimo; tanto è vero, che la mancata iscrizione del consulente all’albo dei consulenti d’ufficio non incide sulla validità della consulenza.
2 domanda) Malgrado la premessa alcune pubbliche amministrazioni continuano a imporre limiti e divieti ai loro dipendenti. Questo è il caso ad esempio dell’Ufficio Scolastico Regionale dell’Emilia Romagna (ex Provveditorato agli Studi) dove purtroppo alcuni dirigenti improvvisano interpretazioni personali originando confusione e quindi difficoltà ai docenti chiamati a svolgere il ruolo pubblico di ausiliario del Giudice. Potrebbe il Consiglio dell’Ordine di Bologna esprimere un proprio autorevole parere sul punto?

In riscontro Suo quesito, si trascrive di seguito il Parere del nostro consulente legale:

”Come correttamente anticipato dall’iscritto Dott. Ing. Ugo Lops, che di questa specifica materia si è molto e positivamente interessato nel recente passato, l’argomento continua ad essere controverso soprattutto per cattiva informazione di alcuni rami periferici della Pubblica Amministrazione. Ebbene, pur senza l’ambizione di mettere una mia parola definitiva alla questione, risponderei al quesito sottopostomi richiamando alcuni principi fondamentali statuiti dalla Suprema Corte di Cassazione.
1) Nel nostro codice di procedura civile la consulenza tecnica non costituisce un mezzo di prova la cui ammissione, come per altri incombenti istruttori, è rimessa alla esclusiva disponibilità delle parti e dei suoi difensori; al contrario, essa consiste in uno strumento probatorio non soltanto sottratto alla disponibilità delle parti, bensì anche riservato all’esclusivo prudente apprezzamento del giudice. La consulenza, infatti, è finalizzata all’acquisizione di un parere tecnico necessario affinché il giudice possa valutare (ed infine decidere) argomenti e questioni che comportino specifiche conoscenze. Rientra, quindi, nei poteri discrezionali del giudice stabilire se e quando egli ritenga necessaria la consulenza tecnica e la nomina del proprio ausiliario di giustizia.
2) Come si è appena detto, la nomina del consulente rientra fra i poteri discrezionali del giudice, che può provvedervi anche senza alcuna richiesta delle parti e nei limiti di indagine che egli ritenga opportuni; nella designazione del consulente il giudice non è per nulla obbligato a scegliere in albi predisposti, potendo egli fare ricorso alle conoscenze specialistiche acquisite direttamente attraverso letture e ricerche personali. Quindi, il giudice può anche nominare un pubblico dipendente, se egli ne apprezza la competenza tecnica: diversamente, si finirebbe sia con il rendere privo di interesse i principi della discrezionalità e dell’autonomia del giudice, sia con l’impedire al giudice la nomina di un ausiliario con competenze e nozioni che egli ritiene indispensabili al processo.
3) Qualora venga nominato consulente tecnico d’ufficio (cioè del giudice) un pubblico dipendente e che questi accetti l’incarico e lo svolga, in virtù della speciale funzione che egli assume di ausiliario giudiziario egli non è soggetto all’obbligo di una preventiva autorizzazione da parte della propria amministrazione; tuttavia, una doverosa informazione è imposta nell’ambito del rapporto d’impiego.

Altro articolo sull’argomento già presente nel Blog: Incarichi di CTU conferiti a pubblici dipendenti

Una recente sentenza del 2017 del Consiglio di Stato ritorna sulla vicenda affermando che un dipendente pubblico può accettare incarichi anche senza autorizzazione della propria amministrazione (Consiglio di Stato 3513/2017). A tal riguardo si riporta quanto scrive Legislazione Tecnica sul proprio sito:

Il CTU e la liquidazione solidale tra le parti

Chi paga la CTU disposta dal G.I. (con o senza richiesta esplicita delle parti)? A chi spetta l’onere? La Suprema Corte si è più volte pronunciata sulla questione con diverse sentenze, tutte concordanti tra loro. Si citano le massime di alcune tra le sentenze più recenti :

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 8 ottobre – 12 novembre 2015, n. 23133, “Qualora il consulente tecnico d’ufficio non abbia ricevuto il proprio compenso dalle parti a ciò obbligate a seguito dell’emissione di decreto provvisorio di liquidazione, ed abbia inutilmente chiesto il dovuto ai soggetti indicati nel decreto di liquidazione provvisoria delle sue spettanze, secondo le percentuali ivi stabilite, le parti sono solidalmente obbligate a corrisponderlo a prescindere dalla diversa ripartizione delle medesime spese stabilita nella sentenza che ha definito la controversia.”.

•  Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 15 ottobre – 5 novembre 2014, n. 23522, “Il decreto di liquidazione del compenso del consulente tecnico d’ufficio, che lo ponga a carico delle parti tra loro in solido, resta fermo e vincolante anche nei confronti della parte vittoriosa, ove non espressamente modificato in sede di regolamento delle spese di lite del giudice nella sentenza che definisce il giudizio nel cui corso la consulenza è stata espletata.”.

Cass. civ. Sez. VI del 08/11/2013 n. 25179, “Il decreto di liquidazione di cui alla L. n. 319 del 1980, art. 11 ha e conserva efficacia esecutiva nei confronti della parte ivi indicata come obbligata e – finchè la controversia non sia risolta con sentenza passata in giudicato, che provveda definitivamente anche in ordine alle spese – ha l’effetto di obbligare il CTU a proporre preventivamente la sua domanda nei confronti della parte ivi indicata come provvisoriamente obbligata al pagamento e solo nel caso di sua inadempienza può agire nei confronti dell’altra, in forza della responsabilità solidale che, in linea di principio, grava su tutte le parti del processo per il pagamento delle spese di CTU e che perdura anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza conclusiva del processo, anche indipendentemente dalla definitiva ripartizione fra le parti dell’onere delle spese.”.

Tribunale Torino, sez. III civile, sentenza 30.12.2011 n. 7654, “Il compenso spettante al Ctu, in mancanza di diversa previsione, è posto solidalmente a carico delle parti. Pertanto, se dopo l’emissione del decreto di liquidazione del giudice in favore del Ctu le parti non fanno opposizione, il Ctu può procedere anche nei confronti di una sola parte, pretendendo il versamento dell’intera somma,a nulla rilevando che nel frattempo il giudizio sia giunto a sentenza e il giudice abbia posto le spese a carico dell’altra parte oppure solo parzialmente a carico della parte intimata. Quest’ultima, infatti, trattandosi di obbligazione solidale, resta obbligata a corrispondere l’onorario anche quando risulti vittoriosa o, comunque, solo parzialmente debitrice della somma pretesa e, quindi, non può esimersi dall’obbligo di versare anche l’intera somma, salvo rivalersi, in sede di regresso, nei confronti della parte sulla quale il giudice abbia fatto ricadere l’onere delle spese o una parte di esse.”.

Cass. civ. Sez. II del 30/12/2009 n. 28094, la Suprema Corte statuiva il seguente principio: ”Il compenso dovuto al consulente tecnico d’ufficio, per il principio di solidarietà, è posto solidalmente a carico di tutte le parti, atteso che la sua attività è finalizzata alla realizzazione del superiore interesse della giustizia, che invece non rileva nei rapporti interni tra le parti, nei quali la ripartizione delle spese è regolata dal diverso principio della soccombenza.”.

• Cass. civ. Sez. II del 15/09/2008 n. 23586, la S. C. dichiarava: “In tema di compenso al consulente d’ufficio, l’obbligo di pagare la prestazione eseguita ha natura solidale e, di conseguenza, l’ausiliare del giudice può agire autonomamente in giudizio nei confronti di ognuna delle parti, anche in via monitoria, non solo quando sia mancato un provvedimento giudiziale di liquidazione ma anche quando il decreto emesso a carico di una parte sia rimasto inadempiuto, in quanto non trova applicazione, per essere l’attività svolta dal consulente finalizzata all’interesse comune di tutte le parti, il principio della soccombenza, operante solo nei rapporti con le parti e non nei confronti dell’ausiliare.”.

Cass. civ. Sez. I, 08/07/1996, n. 6199, la S.C. dichiarava: “ Poiché la prestazione del consulente tecnico d’ufficio è effettuata in funzione di un interesse comune delle parti del giudizio nel quale è resa, l’obbligazione nei confronti del consulente per il soddisfacimento del suo credito per il compenso deve gravare su tutte le parti del giudizio in solido tra loro, prescindendo dalla soccombenza; la sussistenza di tale obbligazione solidale, inoltre, è indipendente sia dalla pendenza del giudizio nel quale la prestazione dell’ausiliare è stata effettuata, sia dal procedimento utilizzato dall’ausiliare al fine di ottenere un provvedimento di condanna al pagamento del compenso spettantegli.”.

La CTU non è un vero e proprio mezzo di prova, ma un ausilio per il giudice ogni qual volta ricorrano specifiche questioni tecniche che richiedono una puntuale cognizione di tipo tecnico: essa è finalizzata ad aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni necessitanti specifiche conoscenze; è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito; costituisce atto necessario del processo che l’ausiliare pone in essere nell’interesse generale della giustizia e comune delle parti in virtù di un mandato neutrale.

In considerazione della natura dell’incarico, e poiché il regime di pagamento delle spettanze del consulente non è regolato in base al principio della soccombenza, il quale assume rilevanza solo nel rapporto interno tra le parti, l’ausiliario può richiedere l’intero compenso anche ad una sola delle parti, secondo il criterio generale della solidarietà ex artt. 1292 ss. c.c., e salva l’azione di regresso nei rapporti interni tra le parti obbligate.

Quindi, la parte citata dal CTU per il pagamento del compenso non può opporgli la diversa regolamentazione delle spese contenuta nella sentenza, ma deve pagare l’intero compenso per poi successivamente agire in regresso nei confronti della parte a cui carico sono state poste le spese nella sentenza.

Primi dati sulla mediazione obbligatoria

Ilsole24ore.com del 17 giugno 2011 ha pubblicato un interessante report su: “La mediazione civile e commerciale” che qui si ripropone in parte.

Oltre 5mila richieste di conciliazione in poco più di due mesi: le hanno ricevute le 105 Camere di commercio dall’entrata in vigore della riforma sulla mediazione (21 marzo scorso). Di queste, sottolinea Unioncamere in una nota, le 75 Camere già iscritte al registro degli Organismi di mediazione del ministero della Giustizia ne hanno gestite quasi 4mila, il 76% delle quali in materie per cui è ora prevista l’obbligatorietà.

In un caso su 5 si arriva a un accordo “soddisfacente”

Complessivamente, i procedimenti già definiti risultano 1.633, pari al 43% delle mediazioni depositate presso gli Organismi camerali riconosciuti, e nel 20% dei casi si é raggiunto un accordo soddisfacente per entrambe le parti. In alcune Camere, il tasso di conclusione positiva è addirittura superiore al 50 per cento. «Ci aspettiamo – ha detto ancora Capone – che la mediazione obbligatoria potrà dare già entro l’anno un contributo visibile di alleggerimento del lavoro dei tribunali e, soprattutto, dei costi e dei tempi dei contenziosi per le imprese».

La mappa della mediazione

Secondo i dati di Unioncamere, che sono stati messi a disposizione della commissione Giustizia del Senato, le mediazioni obbligatorie tra imprese si sono concluse mediamente in 66 giorni. Quelle relative a rapporti di consumo ne hanno invece richiesti, sempre mediamente, 64. Il valore medio nei due casi è stato, rispettivamente, di circa 155mila euro nelle procedure tra imprese e di 23mila euro circa in quelle aventi per oggetto controversie in materia di consumo. Delle 3.832 mediazioni gestite dagli Organismi camerali, il 33% si è svolto nel Nord-Est, il 27% nel Nord-Ovest, il 25% nel Centro e il 15% nelle regioni del Sud e nelle Isole.

Il consulente tecnico di parte – CTP

bilanciaIl grado sempre più elevato di tecnicismo dei processi legati ad accertamenti e/o valutazioni tecniche e scientifiche di particolare complessità induce giudici ed avvocati ad avvalersi di consulenti-specialisti.

A differenza del Consulente del Giudice (CTU) che è un pubblico ufficiale (con tutti gli oneri che ciò comporta) il consulente di parte (CTP) non è tenuto a prestare giuramento, non può essere ricusato, non è obbligato ad assumere l’incarico, non è vincolato ad essere iscritto ad albi professionali.

Nel momento in cui assume un incarico quindi, il consulente di parte, di fatto presta un’opera intellettuale che ha matrice contrattuale. Pertanto la responsabilità che egli assume nei confronti del proprio cliente è quella di una obbligazione di mezzo e non di risultato. In buona sostanza gli è dovuto il compenso anche in caso di esito negativo della lite o se abbia formulato conclusioni contrarie all’interesse del proprio cliente per non aver voluto trasgredire a norme di legge, dell’etica in generale e della deontologia professionale.

L’attività del consulente di parte è ampia e spesso riguarda, oltre all’attività processuale vera e propria accanto al CTU, anche la decisione pre-giudiziale di affrontare un processo. In tal senso gioca spesso un ruolo fondamentale in ordine alla impostazione della fase giudiziaria stessa influenzando la formulazione delle richieste e, di conseguenza, le strategie difensive della parte ricorrente o convenuta. Il consulente di parte di concerto con l’avvocato, ciascuno relativamente al proprio bagaglio di conoscenze e nei rispettivi ruoli concorrono quindi alla determinazione della linea difensiva del proprio cliente. Tale stretta collaborazione tra le due figure professionali, viene addirittura definita da alcuni come una vera e propria: “Simbiosi processuale”.

E’ comunque bene chiarire un aspetto etico del consulente di parte, aimè spesso trascurato, che è quello della fedeltà alla parte. Svolgere una consulenza di parte non vuol dire stravolgere dati inconfutabili a favore del proprio assistito con impegno a far credere vero ciò che è falso e falso ciò che è vero ma le considerazioni del consulente tecnico di parte possono trovare spazio laddove i dati risultano incerti oppure nella certezza del dato sussistono margini per formulare valutazioni anche solo in parte differenti.

Bibliografia essenziale:

INAIL – Responsabilità professionale del consulente tecnico 

Altalex – La responsabilità civile del consulente di parte

La denuncia di vizi e difetti negli immobili

L’argomento su cosa si può fare in presenza di vizi e difetti di costruzione è già stato trattato nel presente blog in vari articoli quali: Difetti di costruzione …. cosa fare?” e “Responsabilità del costruttore“. Sempre sullo stesso tema, si segnala un interessante articolo pubblicato sul mensile Casa Chic nel quale vengono passate in rassegna le difformità riconosciute dalla legge e i modi per tutelarsi. Ecco il link al testo dell’articolo: “La denuncia di vizi e difetti negli immobili“.

Più avvocati, più cause

In Italia abbiamo il più alto numero assoluto di cause e i tempi della giustizia più lunghi d’Europa. Anche il numero degli avvocati è letteralmente esploso negli ultimi venti anni. E se non c’è competizione sulle tariffe, alcuni di loro possono pensare di sfruttare il vantaggio informativo nei confronti del cliente, inducendolo a ricorrere al tribunale anche nei casi in cui non sarebbe necessario né efficace. Questo è quanto emerge dalle statistiche europee del Cepej (European Commission for the Efficiency of Justice, Councile of Europe, ) che confermano che l’Italia ha il più alto numero assoluto di cause, sia pendenti che aperte, e i tempi della giustizia più lunghi in Europa.

Il portale d’informazione: “lavoce.info” ha pubblicato in data 15 gennaio 2010 un interessante articolo sull’argomento dal titolo: “Più avvocati, più cause” al quale si rimanda affinché ogn’uno in propria coscienza (a qualunque schieramento politico appartenga) possa fare una propria riflessione.

Norme armonizzate: applicazione e validità

Cosa sono le norme armonizzate? Il 24/11/2009 sul sito di Legislazione Tecnica è apparso un articolo (in parte qui riproposto) avente come oggetto le norme armonizzate ed in particolare: chiarimenti sulla loro emanazione, applicazione, validità e modalità operative.

Innanzitutto occorre premettere quanto segue, per ben definire le norme armonizzate e comprenderne il significato giuridico:

  • l’armonizzazione legislativa CEE contenuta nelle direttive si limitata a stabilire i requisiti essenziali (ad esempio: requisiti di sicurezza di interesse generale) necessari per garantire la libera circolazione dei prodotti in tutta la Comunità, mentre il compito di elaborare le corrispondenti specifiche tecniche è affidato agli organismi di normalizzazione europei (CEN, CENELEC, ETSI);
  • le norme armonizzate offrono una garanzia per quanto riguarda i requisiti essenziali stabiliti nelle direttive, e i prodotti fabbricati in conformità ad esse si presumono di conseguenza conformi ai requisiti essenziali. Le norme armonizzate non sono obbligatorie, pertanto sono possibili percorsi alternativi per garantire i requisiti essenziali dei prodotti, ma il produttore ha l’obbligo di provare la rispondenza dei prodotti a detti requisiti essenziali;
  • per alcuni requisiti, ad esempio quelli che non coinvolgono la sicurezza del consumatore o dell’utilizzatore, il produttore può emanare una dichiarazione di conformità, mentre per altri deve prima ottenere un attestato di conformità da un organismo notificato e solo successivamente può dichiarare la conformità del proprio prodotto ai requisiti essenziali;
  • le autorità pubbliche sono sempre responsabili della sorveglianza al fine di garantire la conformità dei prodotti circolanti sul proprio territorio ai requisiti essenziali di sicurezza;
  • le clausole di sicurezza impongono agli Stati membri di adottare tutte le misure appropriate per ritirare i prodotti non sicuri dal mercato. Se un prodotto non conforme viene posto in commercio con falsa dichiarazione, il Ministero sorvegliante ne dispone il divieto di commercializzazione ed il ritiro.

 Nel caso in cui venga aggiornata una direttiva o una norma armonizzata contenente requisiti essenziali senza i quali il dispositivo può risultare pericoloso per l’utilizzatore, il Ministero competente stabilisce l’entrata in vigore dei nuovi provvedimenti e la data del divieto di circolazione o di commercializzazione dei vecchi dispositivi.
Nello specifico si ritiene che se la norma aggiornata non prevede che il produttore possa dichiarare alcuni requisiti essenziali, ma prevede che debba ottenere un attestato da un organismo notificato, è quest’ultimo che ne stabilisce le modalità in base alla norma aggiornata.

L’applicazione di una norma volontaria spetta al produttore, il quale può applicare qualsiasi altra norma o addirittura una sua specifica interna per produrre un prodotto, ma per poterlo commercializzare liberamente in Europa è tenuto a dimostrarne e dichiararne la conformità ai requisiti essenziali stabiliti nella direttiva comunitaria. La conformità del prodotto ai requisiti essenziali contenuti in una direttiva è dichiarata dalla marcatura CE e dal numero di direttiva stessa.

In base a quanto detto, nel caso non sia stato emanato un provvedimento specifico che fa decadere la norma o il divieto di circolazione dei vecchi dispositivi, il produttore può applicare in linea teorica qualsiasi norma, anche se è bene applicare quella contenente l’ultimo aggiornamento.

L’onere della prova spetta quindi al produttore, il quale nel caso di incidente deve dimostrare tecnicamente di aver adottato tutti gli accorgimenti, e che il proprio dispositivo era rispondente ai requisiti essenziali di sicurezza stabiliti nella direttiva. In questi casi l’utilizzo della norma armonizzata semplifica per il produttore la dimostrazione della non pericolosità del prodotto, dato che la semplice applicazione della norma ne fa presumere il possesso dei requisiti essenziali. Da questa considerazione scaturisce la falsa convinzione sull’obbligatorietà delle norme armonizzate.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: