2017 il Consiglio di Stato ritorna sulla vicenda degli incarichi di CTU conferiti a pubblici dipendenti affermando che un dipendente pubblico può accettare incarichi anche senza autorizzazione della propria amministrazione (Consiglio di Stato 3513/2017). A tal riguardo si riporta quanto scrive Legislazione Tecnica sul proprio sito e ad altro articolo pubblicato sul presente sito:
Categoria: Giurisprudenza
Quando il danno da rumore è risarcibile? I chiarimenti della Cassazione
NewsLetter Numero 477
Questo quanto chiarito dalla Corte di Cassazione nella sentenza 13208/2016, in seguito al ricorso presentato da alcuni condòmini disturbati dal rumore eccessivo proveniente da una vicina discoteca. In primo grado il Tribunale condannava i proprietari della discoteca all’apposizione di un’idonea sigillatura delle porte-finestre del primo piano, rigettando la richiesta di risarcimento danni da immissioni rumorose, in assenza di una prova rigorosa del danno lamentato. La Corte di Appello condannava invece i proprietari del locale anche al pagamento di 10.000 euro, in favore di ciascun condòmino, come risarcimento dei danni già subiti. La Cassazione conferma il risarcimento da parte dei proprietari nei confronti dei vicini. Secondo i giudici, anche in assenza di opportuna documentazione medica circa le condizioni di salute in seguito all’esposizione prolungata ad un livello eccessivo di rumorsi, il risarcimento è dovuto. Non potendo il danno da rumore essere configurato quale danno in re ipsa (in sè stesso), ci si avvale della regola di comune esperienza secondo la quale le immissioni rumorose che superano la normale tollerabilità sono idonee a compromettere l’equilibrio psico-fisico del soggetto ripetutamente esposto ad esse. Pertanto, la discoteca che arreca danni conseguenti all’esposizione prolungata ad un livello eccessivo di rumore ai vicini è tenuta al risarcimento indipendentemente dalla prova del danneggiamento, in quanto il danno alla salute è presunto. (Biblus.acca.it) Sentenza Corte di Cassazione civile, 27 giugno 2016, n.13208 |
Accelerazione della procedura di espropriazione forzata: D.L. 59/2016
Introdotte nuove modifiche al processo esecutivo nell’ottica di snellire la procedura e facilitare il realizzo. Opposizione alla esecuzione del pignoramento; disposizioni per facilitare le visite agli immobili; ordine di liberazione dell’immobile già in fase preliminare alla vendita forzata; vendita con modalità telematiche; richiesta di assegnazione per terzo da nominare; riduzione del prezzo fino alla metà dopo il terzo tentativo di vendita andato deserto; distribuzioni parziali; relazioni semestrali del professionista delegato.
Il D.L. 03/05/2016, n. 59, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 03/05/2016, n. 102, e recante “Disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concorsuali, nonché a favore degli investitori in banche in liquidazione” (attualmente in fase di conversione in legge) introduce misure acceleratorie della procedura di espropriazione forzata, principalmente attraverso modifiche al Codice di procedura civile.
Si precisa che il D.L. 59/2016 è in fase di conversione in legge, e che dunque le disposizioni da esso introdotte non possono considerarsi definitive, si riporta di seguito una sintesi delle principali novità introdotte, rinviando per approfondimenti al testo degli articoli modificati del Codice di procedura civile. Il presente articolo è stato estratto dal sito: www.legislazionetecnica.it.
Opposizione alla esecuzione del pignoramento:
Il D.L. integra l’art. 648 del Cpc, stabilendo che l’opposizione all’esecuzione è inammissibile se è proposta dopo che è stata disposta la vendita o l’assegnazione del bene pignorato (a norma degli artt. 530, 552 e 569). Il pignoramento dovrà pertanto contenere avvertimento in tal senso.
L’opposizione può essere invece proposta oltre il termine nel caso in cui sia fondata su fatti sopravvenuti ovvero se l’opponente dimostri di non aver potuto proporla tempestivamente per causa a lui non imputabile.
La disposizione si applica ai procedimenti di esecuzione forzata per espropriazione iniziati successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. in commento.
Disposizioni per facilitare le visite agli immobili – Ordine di liberazione dell’immobile già in fase preliminare alla vendita forzata
Il giudice può disporre la liberazione dell’immobile con provvedimento non impugnabile. Nel confermare la competenza del custode, anche dopo la pronuncia del decreto di trasferimento, in ordine all’attuazione del provvedimento di liberazione, si precisa che il custode stesso debba agire secondo le disposizioni del giudice ma senza essere tenuto all’osservanza delle formalità di cui agli artt. 605 e seguenti del Cpc.
Per l’attuazione dell’ordine il giudice può avvalersi della forza pubblica e nominare ausiliari.
La disposizione si applica agli ordini di liberazione disposti, nei procedimenti di esecuzione forzata per espropriazione iniziati successivamente al decorso del termine di 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. in commento.
Ancora, il D.L. riconosce agli interessati a presentare l’offerta d’acquisto il diritto di esaminare i beni in vendita entro 7 giorni dalla richiesta, effettuata tramite il portale delle vendite pubbliche.
La disamina dei beni inoltre, deve essere svolta con modalità idonee a garantire la riservatezza dell’identità degli interessati e ad impedire che essi abbiano contatti tra loro.
Vendita con modalità telematiche:
Si dispone che le vendite dei beni immobili pignorati abbiano luogo obbligatoriamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa regolamentare (D.M. 32/2015) adottato in attuazione dell’art. 161-ter delle disposizioni per l’attuazione del Cpc. Attraverso tale modifica si estende in pratica anche al settore delle vendite immobiliari la regola introdotta nell’art. 530 del Cpc dal D.L. 90/2014 (L. 114/2014) per la quale la vendita dei beni mobili pignorati deve avere luogo con modalità telematiche.
Come si rileva nella relazione a norma del predetto decreto ministeriale, il giudice dell’esecuzione può anche disporre che la vendita abbia luogo con modalità mista e cioè contestualmente con modalità sia telematiche che tradizionali. La disposizione si applica alle vendite forzate di beni immobili disposte dopo il 60 giorno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in commento.
Richiesta di assegnazione per terzo da nominare:
Si prevede la possibilità che il creditore richieda di assegnare il bene pignorato a favore di un terzo da nominare. Occorre in tal caso dichiarare in cancelleria, nei 5 giorni dalla pronuncia in udienza del provvedimento di assegnazione ovvero dalla comunicazione, il nome del soggetto a favore del quale deve essere trasferito l’immobile, depositando la dichiarazione dello stesso. In mancanza, il trasferimento si considera fatto a favore del creditore.
Riduzione del prezzo fino alla metà dopo il terzo tentativo di vendita andato deserto:
Viene modificato l’art. 591 Cpc, il quale prevede che ove non si sia concretizzata la vendita al miglior offerente, il giudice può autorizzare l’incanto solo in assenza di istanze di assegnazione e se ritiene di poter ricavare con tale modalità un prezzo superiore di almeno la metà del valore del bene determinato dal perito.
Nella versione previgente il giudice poteva decidere di ribassare il prezzo di vendita solo fino a un quarto, mentre, in seguito all’intervento del decreto-legge in esame, il giudice, dopo il terzo tentativo di vendita andato deserto, può decidere di ribassare il prezzo fino al limite della metà.
Distribuzioni parziali:
Superando le divergenze esistenti nella prassi applicativa, il provvedimento chiarisce che i giudici dell’esecuzione e i professionisti delegati possono effettuare distribuzioni anche parziali delle somme ricavate dall’esecuzione immobiliare.
Relazioni semestrali del professionista delegato da depositare in via telematica:
Il D.L. prevede che il professionista delegato alle operazioni di vendita sia tenuto a depositare, oltre che il rapporto riepilogativo iniziale delle attività svolte entro 10 giorni dalla pronuncia dell’ordinanza di vendita, anche rapporti periodici con cadenza semestrale, da depositare in via telematica.
Le emissioni odorigene sono da considerare inquinanti?
Ecco un’interessante sentenza pubblicata sul sito di Lexambiente.it riguardante le emissioni odorigene (emissioni odorose o qualsivoglia dire puzzolenti):
TAR Veneto, Sez. III, n. 573, del 5 maggio 2014
Aria.Le emissioni odorigene rientrano nella definizione d’inquinamento atmosferico e di emissioni in atmosfera
Anche se non è rinvenibile un riferimento espresso alle emissioni odorigene, le stesse debbono ritenersi ricomprese nella definizione di «inquinamento atmosferico» e di «emissioni in atmosfera», poiché la molestia olfattiva intollerabile è al contempo sia un possibile fattore di «pericolo per la salute umana o per la qualità dell’ambiente», che di compromissione degli «altri usi legittimi dell’ambiente», ed in sede di rilascio dell’autorizzazione, dovendo essere verificato il rispetto delle condizioni volte a minimizzare l’inquinamento atmosferico (infatti per l’art. 296, comma 2, lett. a, del Dlgs. 152/2006, il progetto deve indicare le tecniche adottate per limitare le emissioni e la loro quantità e qualità), possono pertanto essere oggetto di valutazione anche i profili che arrecano molestie olfattive facendo riferimento alle migliori tecniche disponibili. (Scarica la sentenza)
Recenti pronuncie sul concetto di pertinenza
Alcune recenti sentenze, pubblicate sul sito di Lexambiente.it hanno ripreso il tema del concetto di pertinenza per alcune opere, che vengono così sottratte dal regime concessorio:
- La realizzazione su un terrazzo a livello di un ripostiglio in alluminio può essere considerata opera pertinenziale. (link alla sentenza su Ripostiglio)
- Una pensilina modulare di metri cinque di lunghezza per ottanta centimetri di profondità, assicurata al prospetto dell’edificio mediante bulloni, realizzata in materiale plastico e priva di pilastri di sostegno, assume la sua natura meramente pertinenziale, che la sottrae dal regime concessorio. Le tettoie ed i ripari esterni dagli agenti atmosferici sono qualificabili come pertinenze, ove siano aperte su tre lati ed addossate ad un edificio principale. Esse, ove siano di dimensioni e caratteristiche costruttive non particolarmente impattanti, costituiscono pertinenze dell’edificio cui accedono. La dette strutture possono ritenersi liberamente edificabili solo qualora la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendano evidente e riconoscibile la loro finalità di arredo, riparo o protezione, anche da agenti atmosferici, e quando, per la loro consistenza, possano ritenersi assorbite, ovvero ricomprese in ragione della loro accessorietà, nell’edificio principale o nella parte dello stesso cui accedono. (link alla sentenza su Pensilina)
La riforma del condominio
La riforma (Legge 220/2012) attesa da oltre 70 anni è entrata in vigore 18 giugno 2013.
Tante sono le novità introdotte, tra cui nuovi requisiti e obblighi per l’amministratore, ridefinizione dei quorum per le assemblee, obbligo del conto corrente, decreto ingiuntivo per condomini morosi, apertura del sito internet condominiale.
La redazione di BibLus-net ha realizzato uno speciale interamente dedicato alla Riforma del Condominio fornire ai lettori una guida con le novità contenute nella legge 220/2012 .
Il documento realizzato propone un’ampia e agile sintesi della Riforma ed è divisa in quattro sezioni:
- L’amministratore
i requisiti, la nomina e la revoca, la polizza assicurativa, il sito web, il conto corrente condominiale, la tenuta dei registri, la riscossione forzosa dei crediti - Le parti comuni
la modifica della destinazione d’uso, l’installazione di antenne e pannelli solari, il distacco dall’impianto centralizzato, le innovazioni agevolate, la videosorveglianza - Il regolamento e l’assemblea
i quorum, le sanzioni, gli animali domestici, la delega, la convocazione - Il bilancio, le tabelle e le spese
il rendiconto annuale e il registro di contabilità, la revisione delle tabelle, il recupero dei crediti, la solidarietà passiva
Sono presenti, inoltre, 4 utilissime Appendici che contengono:
- Tavola sinottica degli adempimenti dell’amministratore
- Tabella delle nuove maggioranze assembleari
- Tavole sinottiche delle modifiche normative
- Tutta la disciplina del condominio dopo la riforma
Link al documento:
Speciale Guida Riforma Condominio
Altri documenti utili:
Manutenzione scale – paga anche l’inquilino del piano terra

Le spese che hanno ad oggetto la statica di un edificio come quelle attinenti alle scale vanno distribuite tra tutti i condomini, compresi quelli del pian terreno. Il condomino che vive in un appartamento al piano terra è tenuto al pagamento delle spese per il rifacimento delle scale, che costituiscono bene strutturale e necessario dell’edificio. Lo ha deciso la Corte di Cassazione, con l’Ordinanza 21886 del 5 dicembre 2012.
Secondo la Corte «le scale, essendo elementi strutturali necessari alla edificazione di uno stabile condominiale e mezzo indispensabile per accedere al tetto e al terrazzo di copertura, conservano la qualità di parti comuni, così come indicalo nell’art. 1117 Cod. civ., anche relativamente ai condomini proprietari di negozi con accesso dalla strada, in assenza di titolo contrario, poiché anche tali condomini ne fruiscono quanto meno in ordine alla conservazione e manutenzione della copertura dell’edificio».
I lavori relativi alle scale rappresentano, dunque, «opere di consolidamento riguardanti la statica del fabbricato» e non «opere di mero rifacimento»; conseguentemente è assolutamente legittimo che vengano poste a carico di tutti i condomini.
Nella fattispecie un condomino che viveva in un appartamento al piano terra rivendicava, proprio alla luce della collocazione della sua abitazione, il diritto ad essere esonerato dalla spesa per il rifacimento delle scale, dal momento che non ne faceva uso.
La mediazione civile non sarà più obbligatoria?
Ha fatto un gran polverone la notizia che la Corte Costituzionale, con un Comunicato stampa diffuso lo scorso 24 ottobre, ha anticipato il verdetto di incostituzionalità per eccesso di delega del tentativo obbligatorio di mediazione nelle materie indicate all’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 28 del 2010. La mediazione finalizzata alla risoluzione amichevole delle controversie civili era obbligatoria, dal 21 marzo 2011 per le seguenti materie:
- diritti reali (distanze nelle costruzioni, usufrutto e servitù di passaggio ecc.)
- divisione, successioni ereditarie e patti di famiglia
- locazione, comodato e affitto di aziende
- risarcimento danni da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità
- contratti assicurativi, bancari e finanziari
e dal 20 marzo 2012 anche per le controversie in materia:
- di condominio
- di risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti.
Purtroppo, dal giorno immediatamente successivo alla pubblicazione del verdetto della Consulta sulla Gazzetta Ufficiale, per le suddette controversie non dovrà più essere esperito il tentativo obbligatorio di mediazione, a pena di improcedibilità della domanda giudiziale. Imprese, tecnici e privati cittadini avranno due alternative ugualmente valide:
- adire direttamente l’Autorità giudiziaria
- rivolgersi agli organismi di mediazione (mediazione volontaria)
Ecco la Circolare 12 novembre 2012 sulla questione emanata dal Dipartimento per gli Affari di Giustizia – Direzione generale della giustizia civile.
E’ comunque notizia di questi giorni che la battaglia sull’obbligatorietà della mediazione civile non è ancora conclusa. In ballo ci sono troppi interessi sia per lo Stato che conta di risparmiare con la mediazione un bel po’ di denaro ma anche per i cittadini che possono attingere ad una giustizia più veloce, meno costosa e forse più equa. A tal proposito si rimanda in proposito ad un articolo de “Il Sole 24 ore” del 16/11/2012 tratto da una rassegna pubblicata sul sito di “Legislazione Tecnica”: Link all’articolo. Vedremo nel prossimo futuro cosa deciderà la nostra classe politica su un tema caro in tutti noi che crediamo nel valore aggiunto della mediazione rispetto alle soluzioni tradizionali dei conflitti.
Software pirata, i professionisti possono utilizzarli
Si riporta un interesante articolo del 6/03/2012 (di Paola Mammarella) pubblicato sul sito di Edilportale:
Tribunale Bologna – non è reato usare programmi senza licenza nelle prestazioni intellettuali non di impresa.
I professionisti iscritti all’Albo, che prestano un’opera intellettuale non equiparabile all’attività di impresa, possono utilizzare software pirata. La pensa così il Tribunale di Bologna, che con una recente sentenza ha convalidato precedenti orientamenti della Cassazione.
Come si apprende da fonti di stampa, il Tribunale di Bologna ha assolto dall’accusa di violazione del diritto d’autore un architetto in possesso di programmi duplicati di cui non possedeva la licenza. La decisione è stata motivata dal fatto che il libero professionista esercita attività intellettuale, diversa da quella industriale, e che, a detta dei giudici, la legge punisce chi usa programmi masterizzati nell’esercizio dell’attività di impresa.
Al contrario, il Tribunale avrebbe affermato che la duplicazione dei software funzionale alla prestazione dell’opera intellettuale non è rilevante ai fini penali. Le stesse considerazioni dovrebbero quindi essere valide anche per gli studi associati, dove ogni professionista resta un lavoratore autonomo.
L’architetto, trovato in possesso di nove programmi installati abusivamente, di valore superiore a 17 mila euro, era stato inizialmente condannato al pagamento di una multa. Alla luce delle considerazioni del Tribunale, il professionista è stato in seguito assolto perché il fatto non sussiste.
Le pronunce precedenti:
La posizione del Tribunale di Bologna si colloca sullo stesso filone di pronunce depositate in precedenza dalla Corte di Cassazione e dalla Corte d’Appello di Trento su casi analoghi.
Nel 2009 la Cassazione ha stabilito che la punizione è giustificata dallo scopo commerciale o imprenditoriale dell’attività. La Corte ha spiegato che non si deve fare confusione tra attività professionale ed imprenditoriale, a meno che non si dimostri che il professionista svolga la sua opera con una organizzazione tale da essere assimilato all’impresa. La differenza per la Cassazione sta nel fatto che l’attività di impresa è esplicitamente a scopo di lucro, mentre quella professionale non prevede un fine industriale. Sulla stessa lunghezza d’onda si è collocata la Corte d’Appello di Trento, che nel 2010 ha assolto due architetti che usavano programmi senza licenza nei loro uffici perché si trattava di liberi professionisti e non di imprenditori.
Pubblici dipendenti e incarichi di CTU, ruoli incompatibili?
presente sul sito del ministreto dell Giustizia)
Una domanda posta all’Ordine degli Ingegneri di Bologna, con la relativa risposta, riguardante il già dibattuto ruolo di CTU per il dipendente di una pubblica amministrazione:
Gent.li colleghi ing.ri Monaco e Gasparini,
prima di tutto Vi faccio i miei complimenti per l’attenzione dimostrata sui temi della deontologia e dell’etica professionale, impegno dimostrato anche attraverso la sezione del sito dedicata al dialogo con gli iscritti (mi riferisco in particolare alla sezione quesiti e risposte). E’ proprio dopo aver letto un quesito con risposta in tale sezione (datato 2/9/2010 su: “Ruolo di CTU e dipendente nella pubblica amministrazione“) che ho pensato scrivere la presente lettera.
1 premessa) Le leggi in merito alla incompatibilità dell’attività di dipendente pubblico con quella autonoma del dipendente stesso non valgono per l’attività di CTU infatti, la direzione Generale degli Affari Civili e delle Libere Professioni del Ministero di Grazia e Giustizia infatti, ha risposto con la “Circolare del CSM del 4 gennaio 1999” nella quale si legge: (Link diretto al sito del Ministero di Grazia e Giustizia)
“…….. ove tale divieto fosse ritenuto applicabile anche in tema di nomina di periti e consulenti, non solo si svuoterebbe di contenuto la concreta possibilità di scelta fiduciaria da parte del Giudice, prevista dai vigenti codici di rito, ma si impedirebbe al Giudice, dominus del processo, di avvalersi di quelle nozioni tecniche ritenute indispensabili, individuate soltanto in quel determinato soggetto che intende nominare consulente o perito
Nella stessa circolare si legge inoltre che l’indipendenza della Magistratura garantita dall’art.104 della Costituzione anche nell’ambito del delicato momento di scelta del perito, non può essere scalfita da norme che condizionano ad un atto vincolante di una autorità amministrativa l’attività giudiziaria intralciandola. Ne consegue quindi che tali norme non si applicano nel caso specifico degli incarichi di consulenza tecnica o peritale conferiti dall’Autorità Giudiziaria.
La giurisprudenza anche di Cassazione ha successivamente consolidato quanto scritto nella circolare anzi detta stabilendo che l’iscrizione dei consulenti tecnici negli appositi albi in Tribunale, in ragione della loro competenza specifica, è diretta a facilitare la scelta del giudice, ma non comporta un limite al potere di scelta del giudice medesimo; tanto è vero, che la mancata iscrizione del consulente all’albo dei consulenti d’ufficio non incide sulla validità della consulenza.
2 domanda) Malgrado la premessa alcune pubbliche amministrazioni continuano a imporre limiti e divieti ai loro dipendenti. Questo è il caso ad esempio dell’Ufficio Scolastico Regionale dell’Emilia Romagna (ex Provveditorato agli Studi) dove purtroppo alcuni dirigenti improvvisano interpretazioni personali originando confusione e quindi difficoltà ai docenti chiamati a svolgere il ruolo pubblico di ausiliario del Giudice. Potrebbe il Consiglio dell’Ordine di Bologna esprimere un proprio autorevole parere sul punto?
In riscontro Suo quesito, si trascrive di seguito il Parere del nostro consulente legale:
”Come correttamente anticipato dall’iscritto Dott. Ing. Ugo Lops, che di questa specifica materia si è molto e positivamente interessato nel recente passato, l’argomento continua ad essere controverso soprattutto per cattiva informazione di alcuni rami periferici della Pubblica Amministrazione. Ebbene, pur senza l’ambizione di mettere una mia parola definitiva alla questione, risponderei al quesito sottopostomi richiamando alcuni principi fondamentali statuiti dalla Suprema Corte di Cassazione.
1) Nel nostro codice di procedura civile la consulenza tecnica non costituisce un mezzo di prova la cui ammissione, come per altri incombenti istruttori, è rimessa alla esclusiva disponibilità delle parti e dei suoi difensori; al contrario, essa consiste in uno strumento probatorio non soltanto sottratto alla disponibilità delle parti, bensì anche riservato all’esclusivo prudente apprezzamento del giudice. La consulenza, infatti, è finalizzata all’acquisizione di un parere tecnico necessario affinché il giudice possa valutare (ed infine decidere) argomenti e questioni che comportino specifiche conoscenze. Rientra, quindi, nei poteri discrezionali del giudice stabilire se e quando egli ritenga necessaria la consulenza tecnica e la nomina del proprio ausiliario di giustizia.
2) Come si è appena detto, la nomina del consulente rientra fra i poteri discrezionali del giudice, che può provvedervi anche senza alcuna richiesta delle parti e nei limiti di indagine che egli ritenga opportuni; nella designazione del consulente il giudice non è per nulla obbligato a scegliere in albi predisposti, potendo egli fare ricorso alle conoscenze specialistiche acquisite direttamente attraverso letture e ricerche personali. Quindi, il giudice può anche nominare un pubblico dipendente, se egli ne apprezza la competenza tecnica: diversamente, si finirebbe sia con il rendere privo di interesse i principi della discrezionalità e dell’autonomia del giudice, sia con l’impedire al giudice la nomina di un ausiliario con competenze e nozioni che egli ritiene indispensabili al processo.
3) Qualora venga nominato consulente tecnico d’ufficio (cioè del giudice) un pubblico dipendente e che questi accetti l’incarico e lo svolga, in virtù della speciale funzione che egli assume di ausiliario giudiziario egli non è soggetto all’obbligo di una preventiva autorizzazione da parte della propria amministrazione; tuttavia, una doverosa informazione è imposta nell’ambito del rapporto d’impiego.
Altro articolo sull’argomento già presente nel Blog: Incarichi di CTU conferiti a pubblici dipendenti
Una recente sentenza del 2017 del Consiglio di Stato ritorna sulla vicenda affermando che un dipendente pubblico può accettare incarichi anche senza autorizzazione della propria amministrazione (Consiglio di Stato 3513/2017). A tal riguardo si riporta quanto scrive Legislazione Tecnica sul proprio sito:
Il CTU e la liquidazione solidale tra le parti
Chi paga la CTU disposta dal G.I. (con o senza richiesta esplicita delle parti)? A chi spetta l’onere? La Suprema Corte si è più volte pronunciata sulla questione con diverse sentenze, tutte concordanti tra loro. Si citano le massime di alcune tra le sentenze più recenti :
• Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 8 ottobre – 12 novembre 2015, n. 23133, “Qualora il consulente tecnico d’ufficio non abbia ricevuto il proprio compenso dalle parti a ciò obbligate a seguito dell’emissione di decreto provvisorio di liquidazione, ed abbia inutilmente chiesto il dovuto ai soggetti indicati nel decreto di liquidazione provvisoria delle sue spettanze, secondo le percentuali ivi stabilite, le parti sono solidalmente obbligate a corrisponderlo a prescindere dalla diversa ripartizione delle medesime spese stabilita nella sentenza che ha definito la controversia.”.
• Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 15 ottobre – 5 novembre 2014, n. 23522, “Il decreto di liquidazione del compenso del consulente tecnico d’ufficio, che lo ponga a carico delle parti tra loro in solido, resta fermo e vincolante anche nei confronti della parte vittoriosa, ove non espressamente modificato in sede di regolamento delle spese di lite del giudice nella sentenza che definisce il giudizio nel cui corso la consulenza è stata espletata.”.
• Cass. civ. Sez. VI del 08/11/2013 n. 25179, “Il decreto di liquidazione di cui alla L. n. 319 del 1980, art. 11 ha e conserva efficacia esecutiva nei confronti della parte ivi indicata come obbligata e – finchè la controversia non sia risolta con sentenza passata in giudicato, che provveda definitivamente anche in ordine alle spese – ha l’effetto di obbligare il CTU a proporre preventivamente la sua domanda nei confronti della parte ivi indicata come provvisoriamente obbligata al pagamento e solo nel caso di sua inadempienza può agire nei confronti dell’altra, in forza della responsabilità solidale che, in linea di principio, grava su tutte le parti del processo per il pagamento delle spese di CTU e che perdura anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza conclusiva del processo, anche indipendentemente dalla definitiva ripartizione fra le parti dell’onere delle spese.”.
• Tribunale Torino, sez. III civile, sentenza 30.12.2011 n. 7654, “Il compenso spettante al Ctu, in mancanza di diversa previsione, è posto solidalmente a carico delle parti. Pertanto, se dopo l’emissione del decreto di liquidazione del giudice in favore del Ctu le parti non fanno opposizione, il Ctu può procedere anche nei confronti di una sola parte, pretendendo il versamento dell’intera somma,a nulla rilevando che nel frattempo il giudizio sia giunto a sentenza e il giudice abbia posto le spese a carico dell’altra parte oppure solo parzialmente a carico della parte intimata. Quest’ultima, infatti, trattandosi di obbligazione solidale, resta obbligata a corrispondere l’onorario anche quando risulti vittoriosa o, comunque, solo parzialmente debitrice della somma pretesa e, quindi, non può esimersi dall’obbligo di versare anche l’intera somma, salvo rivalersi, in sede di regresso, nei confronti della parte sulla quale il giudice abbia fatto ricadere l’onere delle spese o una parte di esse.”.
• Cass. civ. Sez. II del 30/12/2009 n. 28094, la Suprema Corte statuiva il seguente principio: ”Il compenso dovuto al consulente tecnico d’ufficio, per il principio di solidarietà, è posto solidalmente a carico di tutte le parti, atteso che la sua attività è finalizzata alla realizzazione del superiore interesse della giustizia, che invece non rileva nei rapporti interni tra le parti, nei quali la ripartizione delle spese è regolata dal diverso principio della soccombenza.”.
• Cass. civ. Sez. II del 15/09/2008 n. 23586, la S. C. dichiarava: “In tema di compenso al consulente d’ufficio, l’obbligo di pagare la prestazione eseguita ha natura solidale e, di conseguenza, l’ausiliare del giudice può agire autonomamente in giudizio nei confronti di ognuna delle parti, anche in via monitoria, non solo quando sia mancato un provvedimento giudiziale di liquidazione ma anche quando il decreto emesso a carico di una parte sia rimasto inadempiuto, in quanto non trova applicazione, per essere l’attività svolta dal consulente finalizzata all’interesse comune di tutte le parti, il principio della soccombenza, operante solo nei rapporti con le parti e non nei confronti dell’ausiliare.”.
• Cass. civ. Sez. I, 08/07/1996, n. 6199, la S.C. dichiarava: “ Poiché la prestazione del consulente tecnico d’ufficio è effettuata in funzione di un interesse comune delle parti del giudizio nel quale è resa, l’obbligazione nei confronti del consulente per il soddisfacimento del suo credito per il compenso deve gravare su tutte le parti del giudizio in solido tra loro, prescindendo dalla soccombenza; la sussistenza di tale obbligazione solidale, inoltre, è indipendente sia dalla pendenza del giudizio nel quale la prestazione dell’ausiliare è stata effettuata, sia dal procedimento utilizzato dall’ausiliare al fine di ottenere un provvedimento di condanna al pagamento del compenso spettantegli.”.
La CTU non è un vero e proprio mezzo di prova, ma un ausilio per il giudice ogni qual volta ricorrano specifiche questioni tecniche che richiedono una puntuale cognizione di tipo tecnico: essa è finalizzata ad aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni necessitanti specifiche conoscenze; è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito; costituisce atto necessario del processo che l’ausiliare pone in essere nell’interesse generale della giustizia e comune delle parti in virtù di un mandato neutrale.
In considerazione della natura dell’incarico, e poiché il regime di pagamento delle spettanze del consulente non è regolato in base al principio della soccombenza, il quale assume rilevanza solo nel rapporto interno tra le parti, l’ausiliario può richiedere l’intero compenso anche ad una sola delle parti, secondo il criterio generale della solidarietà ex artt. 1292 ss. c.c., e salva l’azione di regresso nei rapporti interni tra le parti obbligate.
Quindi, la parte citata dal CTU per il pagamento del compenso non può opporgli la diversa regolamentazione delle spese contenuta nella sentenza, ma deve pagare l’intero compenso per poi successivamente agire in regresso nei confronti della parte a cui carico sono state poste le spese nella sentenza.
A chi compete il controllo sulla competenza del progettista?
A chi compete il controllo sull’idonea qualificazione del progettista nella fase di collaudo?
Tale controllo non sembra poter essere attribuito al collaudatore; la funzione del collaudo è, infatti, quella di verificare e certificare che l’opera e/o i lavori siano stati eseguiti a regola d’arte e secondo le prescrizioni tecniche prestabilite, in conformità della documentazione tecnico-progettuale (progetto, eventuali varianti ecc.). Ne sembra conseguire che, qualora nel progetto non siano riscontrabili vizi e/o difetti, l’intervento dovrà comunque essere collaudato.
Il controllo sull’osservanza delle competenze professionali non è, tuttavia, avulso dall’attività di collaudo complessivamente considerata, ossia estesa anche al profilo amministrativo, almeno per ciò che attiene alle costruzioni in zona sismica. Nelle zone sismiche, infatti, il complesso sistema di denunce ed autorizzazioni preventive previsto dagli artt. 93 e 94 del D.P.R. 380/2001 fa ricadere sui competenti Uffici regionali l’accertamento del rispetto delle predette competenze professionale e l’obbligo di denunziarne l’eventuale violazione.
La questione è stata oggetto di approfondimento da parte del Consiglio Nazionale degli Ingegneri che ha prodotto un documento a riguardo (scarica il documento).
Manutenzioni straordinarie legge 73/2010 – Critiche dal CNI
Con un comunicato diramato il 25 maggio scorso, il Consiglio Nazionale degli Ingegneri interviene sul decreto incentivi e, in particolare sulla liberalizzazione delle manutenzioni straordinarie Legge n.73 del 22 maggio 2010 che modifica l’art.6 del DPR 380/2001.
“L’obbligo di una relazione tecnica redatta da un tecnico abilitato non è né una vittoria né un successo per i progettisti o per gli Ordini che li rappresentano” afferma il CNI, e continua: “è avvilente vedere che, in caso di inadempimento, è prevista una irrisoria sanzione di 258 Euro”, visto che tale decisione non fa che svilire “il senso della prestazione professionale al valore della quale dovrebbe essere proporzionata la sanzione”.
Con la sanzione prevista c’è il rischio più che fondato di consegnare la materia “alla deregolamentazione spinta e all’abusivismo, il tutto in nome e all’insegna di un rilancio dell’attività edilizia e di pseudo risparmi sulle prestazioni professionali in realtà molto modesti e che non automaticamente comporteranno reali economie e vantaggi per il cittadino, sia in termini di economia sia, soprattutto, in termini di qualità del costruito e del prodotto edilizio”.
Il CNI sottolinea come “in un contesto di deregolamentazione spinta (che non va confusa con una invece auspicabile e ragionevole semplificazione delle procedure) chi ci rimette non sono tanto i professionisti, quanto piuttosto i committenti e la collettività in termini di garanzie di sicurezza delle strutture, di sicurezza degli impianti e di sicurezza del lavoro nel cantiere”. Gli ingegneri italiani chiedono che venga previsto un diverso e più serio quadro sanzionatorio, in modo da disincentivare i possibili abusi, così da creare un deterrente ad un tipo di edilizia “improvvisata, spericolata e soprattutto pericolosa per la collettività”.
Link al testo completo dell’articolo pubblicato su Edilportale
Norme armonizzate: applicazione e validità
Cosa sono le norme armonizzate? Il 24/11/2009 sul sito di Legislazione Tecnica è apparso un articolo (in parte qui riproposto) avente come oggetto le norme armonizzate ed in particolare: chiarimenti sulla loro emanazione, applicazione, validità e modalità operative.
Innanzitutto occorre premettere quanto segue, per ben definire le norme armonizzate e comprenderne il significato giuridico:
- l’armonizzazione legislativa CEE contenuta nelle direttive si limitata a stabilire i requisiti essenziali (ad esempio: requisiti di sicurezza di interesse generale) necessari per garantire la libera circolazione dei prodotti in tutta la Comunità, mentre il compito di elaborare le corrispondenti specifiche tecniche è affidato agli organismi di normalizzazione europei (CEN, CENELEC, ETSI);
- le norme armonizzate offrono una garanzia per quanto riguarda i requisiti essenziali stabiliti nelle direttive, e i prodotti fabbricati in conformità ad esse si presumono di conseguenza conformi ai requisiti essenziali. Le norme armonizzate non sono obbligatorie, pertanto sono possibili percorsi alternativi per garantire i requisiti essenziali dei prodotti, ma il produttore ha l’obbligo di provare la rispondenza dei prodotti a detti requisiti essenziali;
- per alcuni requisiti, ad esempio quelli che non coinvolgono la sicurezza del consumatore o dell’utilizzatore, il produttore può emanare una dichiarazione di conformità, mentre per altri deve prima ottenere un attestato di conformità da un organismo notificato e solo successivamente può dichiarare la conformità del proprio prodotto ai requisiti essenziali;
- le autorità pubbliche sono sempre responsabili della sorveglianza al fine di garantire la conformità dei prodotti circolanti sul proprio territorio ai requisiti essenziali di sicurezza;
- le clausole di sicurezza impongono agli Stati membri di adottare tutte le misure appropriate per ritirare i prodotti non sicuri dal mercato. Se un prodotto non conforme viene posto in commercio con falsa dichiarazione, il Ministero sorvegliante ne dispone il divieto di commercializzazione ed il ritiro.
Nel caso in cui venga aggiornata una direttiva o una norma armonizzata contenente requisiti essenziali senza i quali il dispositivo può risultare pericoloso per l’utilizzatore, il Ministero competente stabilisce l’entrata in vigore dei nuovi provvedimenti e la data del divieto di circolazione o di commercializzazione dei vecchi dispositivi.
Nello specifico si ritiene che se la norma aggiornata non prevede che il produttore possa dichiarare alcuni requisiti essenziali, ma prevede che debba ottenere un attestato da un organismo notificato, è quest’ultimo che ne stabilisce le modalità in base alla norma aggiornata.
L’applicazione di una norma volontaria spetta al produttore, il quale può applicare qualsiasi altra norma o addirittura una sua specifica interna per produrre un prodotto, ma per poterlo commercializzare liberamente in Europa è tenuto a dimostrarne e dichiararne la conformità ai requisiti essenziali stabiliti nella direttiva comunitaria. La conformità del prodotto ai requisiti essenziali contenuti in una direttiva è dichiarata dalla marcatura CE e dal numero di direttiva stessa.
In base a quanto detto, nel caso non sia stato emanato un provvedimento specifico che fa decadere la norma o il divieto di circolazione dei vecchi dispositivi, il produttore può applicare in linea teorica qualsiasi norma, anche se è bene applicare quella contenente l’ultimo aggiornamento.
L’onere della prova spetta quindi al produttore, il quale nel caso di incidente deve dimostrare tecnicamente di aver adottato tutti gli accorgimenti, e che il proprio dispositivo era rispondente ai requisiti essenziali di sicurezza stabiliti nella direttiva. In questi casi l’utilizzo della norma armonizzata semplifica per il produttore la dimostrazione della non pericolosità del prodotto, dato che la semplice applicazione della norma ne fa presumere il possesso dei requisiti essenziali. Da questa considerazione scaturisce la falsa convinzione sull’obbligatorietà delle norme armonizzate.
Trasformazione abusiva di vani tecnici: aggravamento del carico urbanistico
Nuovamente la Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 28479 del 10.7.2009 si è espressa in materia urbanistica ed in particolare sull’ipotesi di aggravamento del carico urbanistico e del conseguente eventuale sequestro preventivo dell’immobile oggetto di abuso.
Nella fattispecie è stato esaminato il caso di un immobile costituito in parte da locali tecnici ad uso magazzino e deposito e in parte da alloggi, trasformato in assenza di titolo abilitativo, in un unico immobile residenziale di lusso.
In merito la Corte ha richiamato la consolidata giurisprudenza, ribadendo che :«il cosiddetto carico urbanistico da prendere in considerazione ai fini della consumazione dell’illecito va riferito all’entità abusiva unitariamente considerata e non ai singoli interventi individualmente valutati» e che «è legittimo il sequestro preventivo di un immobile nel quale risultano realizzate opere interne che ne abbiano comportato il mutamento della destinazione d’uso, realizzandosi in questo caso un’ipotesi di aggravamento del cosiddetto carico urbanistico».
La circostanza che i locali deposito poi trasformati fossero già al servizio degli alloggi non consente di ritenere ininfluente ai fini del carico urbanistico la loro trasformazione. Ad ulteriore conferma la Corte ha sottolineato che non sono stati previsti nella fattispecie adeguati spazi per parcheggi ai sensi dell’art. 41 sexies della L. 1150/1942.
Fonti:
http://www.legislazionetecnica.it
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Trasformazione abusiva di vani tecnici in locali abitativi
Alcune recenti sentenze hanno ripreso il tema della trasformazione abusiva di locali tecnici (quali cantine, garage, sottotetti, ecc.) in spazi ad uso abitativo. In particolare è stato riaffermato il criterio secondo cui la realizzazione di vani abitativi in numero maggiore di quelli autorizzati, con abusiva trasformazione di volumi tecnici in superfici e volumi destinati ad uso abitativo, non integra affatto una ipotesi di aumento delle «cubature accessorie» o di «diversa distribuzione interna delle singole unità abitative», ma comporta una significativa modifica delle opere realizzate rispetto a quelle assentite, ed ha come risultato un carico abitativo non previsto. Con questa motivazione la III sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 37253/08 dell’1-10-2008, ha respinto il ricorso avanzato dal committente e dal direttore dei lavori, condannandoli per avere abusivamente trasformato e destinato a fini abitativi alcuni vani che secondo la concessione edilizia avrebbero dovuto fungere da locali tecnici dell’immobile (cantine, autorimessa, locale caldaia). I Giudici hanno aderito integralmente alla tesi prospettata dalla Corte d’appello, la quale aveva affermato che: – la realizzazione di non previsti spazi abitativi aumenta in modo significativo la volumetria dell’immobile, dal cui calcolo ai fini della concessione edilizia erano stati esclusi i vani tecnici; – la trasformazione dei locali è stata attuata tramite la predisposizione di impianti, allacciature di servizi, arredamento, accessori elettrici e dunque non opere provvisorie ma di natura permanente e strutturale; – detti interventi sono stati autorizzati con variante in corso d’opera, ma senza dare conto della diversa destinazione dei vani, e quindi prospettando all’amministrazione comunale una situazione di fatto intenzionalmente diversa da quella reale ed andando di fatto a concretizzare un mutamento della destinazione d’uso, mai autorizzato. La Corte ha altresì precisato che la responsabilità anche del direttore dei lavori discende dalla consistenza, dalle caratteristiche e dalle finalità degli interventi, e che infine l’avvenuta concessione edilizia in sanatoria a posteriori non esclude la rilevanza penale dei fatti contestati.
Riferimenti ed alcune sentenze sull’argomento:
Corte di cassazione 37253/08 del 1-10-2008
Corte di cassazione 3590/09 del 27-1-2008
Corte di Cassazione 36567/08 del 24.9.2008
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Aggravamento del carico urbanistico
Circa l’attività del CTU
Il Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU) nello svolgimento delle sue funzioni si trova nella veste di pubblico ufficiale ausiliario del Magistrato, condizione che lo investe di considerevoli responsabilità (anche di natura penale). E’ ovvio quindi che per lo svolgimento dell’incarico affidatogli egli deve conoscere bene il proprio ruolo ossia: la normativa di riferimento, i relativi articoli del codice di procedura civile e la prassi utilizzata in Tribunale.
Tali conoscenze risultano indispensabili soprattutto quando il Consulente si trova fuori dall’aula del Tribunale, lontano dall’aiuto del Giudice, a fronteggiare i procuratori legali delle parti, i Consulenti Tecnici di Parte o tutte quelle situazioni di carattere straordinario che richiedono la conoscenza delle norme di procedura. In caso di difficoltà è comunque sempre consigliabile che il CTU si rivolga al Magistrato per le indicazioni del caso.
Per quanto attiene al comportamento del CTU durante il contraddittorio, lo stesso deve sempre essere improntato alla pacatezza nell’esposizione delle argomentazioni e al criterio dell’assoluta imparzialità. Ovviamente, per quanto anzi detto, il CTU deve prestare attenzione a non cadere in tranelli o provocazioni tese a fargli perdere la calma, esponendolo al rischio di sostituzione dietro richiesta della parte che ha interesse nel rinnovo delle indagini medesime. La calma, l’integrazione del contraddittorio e la trasparenza sono senza alcun dubbio i principi base cui un CTU deve sempre ispirarsi.
Ma, cosa bisogna fare quando le parti esagerano arrivando ad oltraggiare il CTU? In tal caso è sempre meglio che il consulente, prima di intraprendere qualsiasi iniziativa, informi il Magistrato dell’accaduto e questo anche nel caso in cui non intenda perseguire legalmente la parte interessata.
Resta infatti sempre aperta la possibilità di adire le vie legali. La giurisprudenza più recente (successiva comunque all’abrogazione del reato di oltraggio a pubblico ufficiale) ritiene che l’offesa al prestigio del pubblico ufficiale sia esattamente corrispondente – in fatto – all’offesa al decoro e all’onore, prevista per il vigente reato di ingiuria. Di conseguenza, si tratterà di ingiuria aggravata ai sensi dell’articolo 61 al n. 10 poiché commessa contro pubblico ufficiale nell’atto o a causa dell’adempimento delle sue funzioni.
Sul tema dell’oltraggio e dell’ingiuria si segnala l’articolo scritto sul sito: http://www.overlex.com dal titolo: “L’abrogato reato di oltraggio a pubblico ufficiale ex art. 341 c.p. – Delitti dei privati contro la pubblica amministrazione”.
Un caso particolare: Incarichi di CTU ai pubblici dipendenti
Difetti di costruzione ….. cosa fare?
Una recente sentenza della Corte di Cassazione Civile recita:
“In materia di appalto avente ad oggetto la costruzione di edifici o di altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, rientra nei compiti propri del giudice del merito, coinvolgendo l’accertamento e la valutazione degli elementi di fatto del caso concreto, l’indagine volta a stabilire se i difetti costruttivi ricadano nella disciplina dell’art. 1669 cod. civ., che comporta la responsabilità extracontrattuale dell’appaltatore, ovvero in quella posta dagli artt. 1667 e 1668 cod. civ. in tema di garanzia per le difformità e i vizi dell’opera. Al giudice di merito spetta altresì stabilire se le acquisizioni processuali sono sufficienti a formulare compiutamente il giudizio finale sulle caratteristiche dei difetti, dovendo al riguardo non limitarsi alla mera verifica della sussistenza del pericolo di crollo ovvero alla valutazione dell’incidenza dei medesimi sulle parti essenziali e strutturali dell’immobile, bensì accertare anche se essi, pur afferendo ad elementi secondari ed accessori, siano tali da incidere negativamente, pregiudicandoli in modo considerevole nel tempo, sulla funzionalità e sul godimento dell’immobile”.
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. II, del 26 aprile 2005, (Ud. 07/03/2005) Sentenza n. 8577
Sempre sull’argoment si segnala un interessante un foglio operativo dell’associazione: “Centro Tutela Consumatori Utenti Alto Adige” che rappresenta una sorta di “vademecum operativo” dal titolo: “casa nuova vecchia” contenente consigli su come agire per non perdere i propri diritti quando su un’opera edile di nuova costruzione si riscontrano difetti di costruzione.
Altro articolo del blog: “La denuncia di vizi e difetti presenti sull’immobile“
Responsabilità del costruttore-venditore, lesioni e fessurazioni dei pavimenti
Cass. civ., Sez. II, 29 aprile 2008, n. 10857
Con una nuova sentenza della Cassazione si allarga la responsabilità del costruttore; infatti anche quando le piastrelle del pavimento presentano rotture e fessure dovute ad anomala posa del sottofondo si configura una responsabilità del costruttore – venditore ai sensi dall’articolo 1669 c.c.
(Si segnala anche a riguardo un articolo apparso su “Ilsole24ore” del 22-9-2008 come riproposto da “Legislazione Tecnica”: Il costruttore paga per i vizi minori)